Leading and managing change: why is it so hard to do?
Prof. Peter Earley
London Centre for Leadership in Learning Institute of Education, University of London
Regno Unito
2013
Articolo per seminario
Pagine: 14
L’articolo si occupa di analizzare la tematica del “management of change” (la gestione del cambiamento) presentandone i diversi aspetti e le implicazioni in riferimento alla letteratura specialistica dedicata al tema (vedi bibliografia). Lungo tutto il testo la questione della gestione del cambiamento è però considerata in quanto tale, e solo a titolo di esempio trattata in riferimento all’ambito scolastico.
Peter Earley comincia con il domandarsi a livello filosofico in che cosa consista il cambiamento; la risposta è formulata in riferimento ad alcuni frammenti eraclitei, ed assume un aspetto paradossale: tra tutti gli aspetti della realtà il cambiamento è l’unica costante destinata a non cambiare.
Earley prosegue quindi articolando diverse tipologie di cambiamento, che può assumere una natura differente a seconda che provenga dall’esterno o dall’interno, e che si propaghi dall’alto verso il basso o viceversa. Riferiti al contesto scolastico, questi criteri permettono di distinguere ad esempio tra stimoli al cambiamento che provengono da direttive della politica internazionale, nazionale o locale (origine esterna), oppure promossi da facoltà o dipartimenti (origine interna), che procedono dai presidi ai loro sottoposti (dall’alto verso il basso) o al contrario che partono dagli insegnanti o dagli alunni (dal basso verso l’alto).
Ulteriori distinzioni possono essere tracciate in funzione del processo e del risultato del cambiamento: il processo può essere semplice (in tal caso il cambiamento si definisce come “adattamento”) oppure presentarsi come una rivoluzione complessa (caso in cui il cambiamento è definito “trasformazionale”); nel primo caso il cambiamento può svolgersi in tempi rapidi, mentre nel secondo necessita naturalmente di periodi più lunghi. Il risultato del cambiamento può invece rappresentare una meta condivisa o coercitiva. A seconda del combinarsi delle quattro categorie (processo semplice, processo complesso, risultato condiviso, risultato coercitivo), è quindi possibile distinguere quattro tipologie di cambiamento:
• Evoluzione partecipativa (adattamento condiviso)
• Trasformazione carismatica (trasformazione condivisa)
• Evoluzione forzata (adattamento coercitivo)
• Trasformazione dittatoriale (trasformazione coercitiva)
Riguardo a tutte le tipologie di cambiamento finora distinte, Earley sottolinea come la dimensione della condivisione sia quella più importante per il successo del cambiamento stesso. Infatti, sia che lo stimolo al cambiamento provenga dall’esterno o dall’interno, si muova dal basso verso l’alto o dall’alto verso il basso e presenti un processo semplice o complesso, il fatto che si tratti di un cambiamento accettato dalle figure coinvolte è essenziale alla sua efficacia. In effetti viene messo in chiaro che “il cambiamento è complesso perché riguarda persone più che contenuti” (p.4).
Dopo essersi soffermato sulla dimensione del cambiamento in quanto tale, Earley prende in esame la “leadership e management del cambiamento” che riguarda il “condurre persone, gruppi e organizzazioni verso un preferito stato di cose futuro” (p.4). Earley traccia quindi un ritratto del buon leader del cambiamento:
“I leaders del cambiamento efficaci sono determinati e risoluti, e hanno grande intelligenza: emotiva, contestuale e strategica. Sono pensatori strategici capaci di “leggere” situazioni e persone e di agire di conseguenza. Hanno una visione chiara, comunicano efficacemente, sono buoni ascoltatori e rimangono positivi”. (p.4)
Le abilità dei leaders del cambiamento sono di natura soprattutto sociale proprio perché il cambiamento riguarda innanzitutto le persone, di conseguenza il leader deve confrontarsi con due ordini di difficoltà:
1. Difficilmente risulta possibile adottare un piano razionale per il cambiamento e vederlo realizzarsi così come era previsto, perché le persone sono imprevedibili e possono cambiare i dati esistenti in corso d’opera.
2. Il modo in cui le persone percepiscono il cambiamento influenza la loro risposta: se si ha la sensazione che il cambiamento è stato imposto probabilmente si opporrà resistenza.
Riguardo al secondo ordine di difficoltà, è necessario che i leaders dedichino gran parte delle loro energie a motivare lo staff, rendendo espliciti i propri valori professionali: è possibile così dar forma ad una cultura condivisa, permettendo allo staff di sviluppare un senso di appartenenza rispetto al proprio lavoro e agli obiettivi del cambiamento.
Earley si occupa quindi delle teorie specialistiche che tentano di fornire delle strategie generali per una buona “Leadership del cambiamento”. In generale, la realtà sociale a cui si applica il processo del cambiamento è una dimensione complessa, che di frequente implica conflitti, e di conseguenza non si presta ad essere affrontata esclusivamente in base a modelli razionali e generali. Earley è dunque in linea generale critico nei confronti delle “teorie del cambiamento” presenti nella letteratura specialistica, le quali nella maggior parte dei casi si riducono “a poco più che checklist” (p.5). Ciononostante, viene presentata una classificazione di tali strategie di “management del cambiamento”, ciascuna delle quali rientra in una delle seguenti categorie:
1. Direttiva
2. Esperta
3. Negoziata
4. Educativa
5. Partecipativa
Tali strategie sono presentate in un ordine che va dalla più veloce alla più lenta nel realizzare il cambiamento. Rispetto ad ognuna Earley presenta sia i vantaggi che gli svantaggi specifici, mettendo in luce come il grado di velocità è in generale direttamente proporzionale al livello di svantaggi arrecati, per cui le strategie partecipative risultano in generale le più lente ma anche quelle che arrecano la minor quantità di svantaggi.
In linea generale, il processo di gestione del cambiamento preso in considerazione dalle strategie di “management del cambiamento” può essere suddiviso in quattro fasi:
• Implementazione
• Continuazione
• Istituzionalizzazione
• Risultati
Non si tratta però di un processo lineare: ogni fase può portare ad una situazione di crisi che richiede di tornare alla fase precedente. Possono poi presentarsi conseguenze inattese che richiedono di modificare le scelte direttive con cui si era cominciato, così che i risultati finali potrebbero essere molto diversi dalle intenzioni di partenza: sussisterebbe allora un gap tra le intenzioni iniziali dei policy makers e ciò che è migliorato davvero all’interno delle scuole e delle classi. Il cambiamento è inoltre un lungo processo e non un evento singolo, tanto che molti cambiamenti spesso non riescono a progredire al di là del primo stadio.
Earley prende poi in esame il punto di vista dell’individuo che si trova coinvolto nel processo di cambiamento. Nella sua prospettiva il cambiamento implica in ogni caso un costo emotivo di cui i leaders devono essere consapevoli: sarà quindi necessario fare in modo che le persone coinvolte siano pienamente consapevoli del cambiamento e abbiano modo di esprimersi per manifestare eventuali disagi.
Sempre in riferimento al punto di vista individuale viene presentata la curva del “processo di transizione”, delineata da diversi studi congiunti e rappresentata anche graficamente, che presenta le differenti fasi emotive che si succedono per l’individuo nel corso della sua reazione al cambiamento. Tali fasi disegnano una curva inizialmente ascendente, poi discendente e infine nuovamente ascendente (o eventualmente ulteriormente discendente), su cui si succedono emozioni come “ansia”, “felicità”, “paura”, “senso di minaccia”, “senso di colpa”, le quali possono possono poi sfociare in una curva ulteriormente discendente nell’ “ostilità”, o in una nuovamente ascendente nell’ “accettazione”. A seconda del loro specifico atteggiamento verso il cambiamento, i singoli individui potranno poi classificarsi in:
• conduttori del cambiamento
• carrieristi
• cooperativi
• ambivalenti
• scettici
• scontenti
• oppositori
Gli individui sono differenti in termini di personalità e motivazione: reagiscono diversamente ad idee nuove e possono essere più o meno accondiscendenti verso il cambiamento. In genere solo una piccola percentuale delle persone è composta di “innovatori” (innovators), un terzo è rappresentata da “adottatori svelti” (early adopters) e il resto da “lenti” (laggards).
L’autore si occupa quindi della questione delle resistenze e dei conflitti legati al processo del cambiamento. Il cambiamento è destabilizzante, spesso minaccioso per gli individui e i gruppi coinvolti, e di conseguenza la resistenza è una reazione naturale e comune ad esso, come dimostra il tipo di effetti emotivi che tendenzialmente provoca (ansia, senso di perdita e conflitto interiore). Inoltre, per molti “cambiamento” è sinonimo di lavoro aggiuntivo, pressione e stress: la resistenza a cambiare è quindi un fattore che va tenuto in conto fin dall’inizio.
Tuttavia nel gestire il cambiamento si avrà a che fare non solo con resistenze, ma anche con veri e propri conflitti, che risultano una parte inevitabile del processo: servirà abilità per gestirli. Gestire i conflitti vuol dire spesso avere a che fare con persone difficili; l’autore, riferendosi alla letteratura specifica, presenta una rassegna di diversi atteggiamenti che risultano tendenzialmente utili a gestire questo tipo di situazioni. Tuttavia, quando gestiti con efficacia, resistenza e conflitti possono divenire fattori positivi, producendo un effetto creativo e spingendo il gruppo ad una fase più produttiva di quella in cui si era arrestato.
Infine, l’autore conduce una rassegna degli strumenti utili a gestire il cambiamento. Infatti, nonostante ogni processo di cambiamento sia complesso e unico, esistono numerose teorie e modelli che possono assistere il leader nella propria opera. Nella sua forma più semplice, la gestione del cambiamento risponde in ogni caso alla teoria della quattro P:
1. Proposito (Purpose). Il proposito di base per il cambiamento deve essere chiaro, e le persone coinvolte devono capire perché il cambiamento è necessario.
2. Prospettiva (Picture). È necessario rappresentare un quadro dei risultati del cambiamento, per indurre le persone interessate a sentirsi coinvolte.
3. Piano (Plan). È anche necessario produrre e discutere un piano preciso della strategia da adottare per realizzare il cambiamento.
4. Parte (Part). Ad ogni persona deve essere assegnata una parte da svolgere, sia nell’ambito del piano che rispetto ai risultati finali: ciascuno deve sapere in che modo possa contribuire e partecipare.
Esistono anche altri strumenti per assistere il leader del cambiamento, tra i quali vengono presentati i seguenti:
• L’analisi secondo i parametri SWOT: Strengths, Weaknesses, Opportunities e Threats (punti di forza, punti di debolezza, opportunità e rischi);
• L’analisi del campo di forze: un’analisi della situazione reale finalizzata a stabilire se sia davvero possibile realizzare un cambiamento;
• La mappatura della maturità della situazione (readiness), dell’impegno necessario (commitment) e della fattibilità (capability).
• La curva del cambiamento e l’equazione del cambiamento.