Democratic Distributed School Leadership: Ethics, Responsibility and Authority
Prof. Olof Johansson
Centre for Principal Development Department of Political Science Umea University, Svezia
2013
Articolo per seminario
Pagine: 8
L’articolo si occupa della leadership scolastica “distribuita e democratica”, discutendola in funzione della possibile azione del leader educativo. A questo proposito, Olof Johansson traccia implicitamente una distinzione tra i due aspetti della tipologia di leadership che sta prendendo in esame, e quindi tra il valore degli aggettivi “democratica” e “distribuita”. Infatti, in apertura del testo, scrive:
“L’insieme delle teorie esistenti e della ricerca illustra come i processi razionali prevalgano in quanto influenze primarie sui processi decisionali dei leaders educativi proprio a causa della natura propria della leadership scolastica democratica -ma può questa essere distribuita?” (p. 1)
Ciononostante, la distinzione tra il significato specifico dei due aggettivi non è chiaramente tematizzata dal testo; dalle argomentazioni di Johansson si può tuttavia dedurre che l’aggettivo “democratica” si riferisce maggiormente alla dimensione educativa della leadership, che viene così intesa come veicolo di trasmissione di valori ideali, mentre “distribuita” si riferisce al suo essere “plurale” nella pratica effettiva, quindi in un certo senso “concretamente democratica”.
In effetti, nel primo paragrafo, Johansson illustra le tre finalità che sono generalmente attribuite al sistema scolastico pubblico:
• Finalità estetica. E’ illustrata dal principio “diventa tutto ciò che può essere”, e si riferisce alla classica nozione liberale di ciò che significa essere una persona educata “a tutto tondo”.
• Finalità economica. E’ sintetizzata dal principio “impara a guadagnare”, e fa riferimento al fatto che l’istruzione deve fornire le conoscenze e le abilità necessarie a divenire membri attivi della società.
• Finalità ideologica. Si riferisce alla formazione dei membri del processo educativo come cittadini, e consiste nella perpetrazione di norme e valori culturali.
Johansson sottolinea come il suo articolo, nonostante quanto possa apparire a prima vista, non si riferisce alla dimensione ideologica dell’insegnamento: la leadership “democratica e distribuita” non riguarda tanto la trasmissione del valore della democrazia come dimensione ideologica, ma piuttosto la sua messa in pratica concreta. Da questa prospettiva, la leadership “democratica e distribuita” concerne tutte e tre le finalità educative, poiché in un certo senso è un metodo oltre che una finalità.
In effetti, per quanto riguarda la condivisione di particolari valori ideologici, potrebbe verificarsi un disaccordo tra le varie parti del sistema educativo, come il leader scolastico, lo staff, gli studenti o la collettività in generale, e anche tra coloro che condividono il valore della democrazia possono sussistere diverse opinioni circa il modo in cui intenderla. La democrazia intesa come valore ideologico è quindi in generale meno vincolante per il processo educativo della necessità di una “leadership distribuita”. Per quanto riguarda quest’ultima infatti, si tratta di “una necessità pratica per gli attuali contesti educativi” (p. 2).
Ciononostante, per realizzare davvero questa “distribuzione” della leadership, non esistono delle ricette precise, né è possibile riferirsi a specifici modelli positivi, perché ogni contesto educativo è unico e differente dagli altri. “Negoziazione e interpretazione sono il cuore della pratica della leadership scolastica democratica”, scrive Johansson a pagina 2.
Il leader scolastico deve quindi innanzitutto sviluppare un certo grado di consapevolezza, e di conoscenza di sé, attraverso la riflessione personale. Ma ciò è soltanto l’inizio: per il leader educativo è importante soprattutto -e questa è l’argomentazione principale dell’articolo- sforzarsi di sviluppare una sensibilità per i sistemi di valori degli altri (“sensitivity to the values orientations of others” -p. 2). Scrive l’autore:
“Questa sensibilità può emergere da un coinvolgimento con i familiari valori democratici del dialogo, dell’interazione e della distribuzione di responsabilità agli altri, in modo da conferire significato alle azioni di studenti, insegnanti, genitori e membri della comunità con cui i leaders interagiscono in una data situazione o contesto”. (p. 2)
Sensibilità e dialogo sono quindi due nozioni chiave per il quadro della “leadership distribuita”. In particolare, la sensibilità per gli orientamenti ideali degli altri fornisce al leader scolastico utili informazioni su come dirigere la loro azione verso obiettivi comuni, mentre il dialogo contribuisce a generare fiducia nel leader. Secondo Johansson, l’uso dell’interazione e del dialogo nel corso dei processi decisionali definisce quindi l’efficacia della leadership più di quanto non faccia il semplice veicolare l’ideale democratico di una leadership distribuita come nozione astratta.
Nel secondo paragrafo, Johansson si sofferma sulla questione del dialogo, sottolineando come richieda tra componenti:
1. L’opportunità di esprimere la prospettiva di ciascuno.
2. La volontà di ascoltare.
3. Un processo di interpretazione condivisa, che sia aperto e che conduca all’apprendimento.
In particolare, i leaders educativi devono orientare il dialogo soprattutto verso le questioni etiche che riguardano la scuola. In questo modo, una volta portato a condividerne la dimensione etica, ogni membro del processo educativo è coinvolto nel progetto comune, ed è attento a valorizzarne gli esiti.
Il testo si sofferma poi su un particolare modello operativo dell’azione del leader scolastico, la quale tendenzialmente coinvolge tre componenti:
1. Etica
2. Autorità
3. Responsabilità
Il potere di prendere decisioni richiede in effetti l’autorità del leader scolastico, che deriva dalla sua particolare posizione. Tuttavia, ogni azione intrapresa comporta anche un certo grado di responsabilità. Quando le decisioni da prendere non presentano una dimensione etica -che tuttavia non è sempre esplicitamente evidente- il processo decisionale può quindi risolversi in funzione della diade autorità-responsabilità. Tuttavia, non appena le questioni presentino un sia pur minimo spessore etico, nella leadership dovranno bilanciarsi “il potere dell’autorità e il dovere della responsabilità, con sensibilità verso gli aspetti etici dell’azione” (p. 3). Il processo decisionale coinvolge in questi casi una triade: autorità, responsabilità ed etica. Come si vede, la questione della “sensibilità etica” rappresenta per l’autore il tratto dominante di un leader scolastico che sia capace di attuare una leadership distribuita.
Poiché sono in gioco valori etici, può naturalmente verificarsi un contrasto tra le opinioni personali del leader scolastico e gli ideali che la comunità si aspetta che il leader debba rappresenta data la sua posizione professionale. Johansson mette in luce come dal coincidere o dal confliggere tra I valori personali del leader e quelli richiesti dal suo ruolo dipenda il grado di efficacia delle azioni che intraprende in ogni data situazione, le quali in un caso potranno ricevere un alto livello di attenzione mentre nell’altro tenderanno ad essere affrontate con ambiguità e trascuratezza.
L’ultimo paragrafo si sofferma sulla necessaria duplice natura del leader scolastico, che a causa delle funzioni richieste dal suo ruolo deve essere non soltanto “leader”, ma anche “manager”. Il primo aspetto è definito dall’autore come “leadership pedagogica”, mentre il secondo come “leadership managerialistica”. Nel primo caso la dimensione predominante è il dialogo, nel secondo l’autorità.
L’aspetto managerialistico del lavoro del leader educativo “rappresenta il contesto obbligato della leadership scolastica. I dirigenti devono assicurare che gli obiettivi professionali strategici della scuola siano riflessi accurati delle aspettative della comunità, formulate utilizzando un linguaggio che possa essere compreso e comunicato allo staff” (p. 4).
Johansson si chiede quindi se sia più adatta ad essere “distribuita” la leadership pedadogica o quella managerialistica, ma lascia aperto l’interrogativo. Ciò che invece è certo, è che entrambi i ruoli devono essere attivi e manifesti nel lavoro del leader scolastico, e che il fallimento in uno qualsiasi dei due ambiti comporta in ogni caso conseguenze negative sul contesto educativo. Infatti, “è vitale per il successo dell’organizzazione che i leaders abbiano successo nel trasferire nuove idee pedagogiche e riforme educative agli insegnanti e alle altre figure dello staff”, e d’altro canto “raggiungere ciò implica un intenso dialogo circa l’organizzazione e i suoi obiettivi” (p. 3).
La dimensione managerialistica della leadership è indicata dall’autore anche come un “fissare confini” (border setting). In questo senso, leadership pedagogica e managerialistica possono convivere, dal momento che “nel lavoro quotidiano nella scuola il buon leader scolastico può anche lavorare in maniera dialogica mantenendo attiva l’attenzione al fissare confini -come ad esempio ponendo attenzione a far sì che le attività scolastiche risultino in linea con I documenti guida” (p. 4).
A seconda della presenza o meno della dimensione pedagogica e di quella managerialistica nell’operato di un leader scolastico, Johansson presenta poi, attraverso uno schema, quattro tipi di leaders educativi, a cui corrispondono in ogni caso esempi reali nella pratica scolastica effettiva:
1. Leaders scolastici predisposti al dialogo e con una buona capacità di fissare confini.
Si tratta del modello ottimale di leader, in grado di combinare “responsabilità professionale” e “autorità democratica”: l’autorità deriva dalla loro funzione istituzionale, ma, per esercitarla effettivamente, devono coinvolgere nel dialogo il oro staff.
2. Leaders scolastici predisposti al dialogo ma con scarse capacità di fissare confini.
E’ questo un modello di leader purtroppo molto frequente: ha una buona relazione professionale con il suo staff e promuove positive forme di dialogo, ma non riesce a stabilire i vincoli necessari a proteggere gli interessi degli studenti. Questi leaders in un certo senso “abdicano” alla loro funzione, perché sfuggono alle responsabilità primarie del loro ruolo.
3. Leaders scolastici non predisposti al dialogo ma con buone capacità di fissare confini.
Si tratta di leader autoritari, che preferiscono imporre gli obiettivi educativi piuttosto che incoraggiare il dialogo. Tali sistemi non risultano di successo nelle società democratiche, che mirano piuttosto alla partecipazione di tutti i membri della comunità.
4. Leaders scolastici non predisposti al dialogo e con scarse capacità di leadership.
Sono leaders che si ritirano completamente dal loro ruolo, e si limitano a mantenere lo status quo. La loro azione si manifesta esclusivamente quando qualche circostanza rischia di minacciare l’ordine stabilito.
Johansson conclude l’articolo riassumendo che il leader che attua una leadership distribuita “eccelle nel comunicare gli obiettivi della scuola e la sua filosofia operativa, ed esercita la leadership traducendo tale filosofia operativa in compiti educativi pratici e motivando il personale e gli studenti a lavorare per il completamento di tali compiti. Questo è divenuto il tratto caratteristico della leadership scolastica intesa come leadership istruzionale (instructional leadership), che può essere intesa come la metafora dominante riguardo la leadership scolastica” (p. 6).
In particolare, le ultime due frasi del testo mettono in evidenza il messaggio fondamentale del testo:
“In questo articolo ho provato a mostrare come non siano rilevanti solamente le competenze del personale a cui saranno assegnate le responsabilità, ma anche il fatto queste persone posseggano il giusto aiuto circa il sistema di valori da seguire” (p.6).