Natale sottotono quest’anno, senza il tradizionale pranzo del 25 a casa dei miei genitori a Novara; io non sono praticante per cui il Natale è per me principalmente una festa degli affetti famigliari. Il pranzo dai miei genitori non è mai stato particolarmente speciale, ma nel pomeriggio passavano in visita parenti e amici. Per me, che ho lasciato la città natia da un quarto di secolo, è sempre stato un momento in cui mi sentivo parte, oltre che di una famiglia allargata, di una sorta di “clan” … ora i miei sono stati giudicati troppo anziani per organizzare e mio fratello minore ci ha gentilmente invitati a Milano, ma mancava il pomeriggio con il campanello che continua a squillare e gruppi di persone che entrano salutando festosi, accolti da una fetta di panettone (rigorosamente tradizionale, con i canditi) e la crema al mascarpone con cui farci scarpetta, preparata secondo la ricetta di nonna. Quest’anno, con mia mamma ormai sempre più “ritirata” in sè stessa (vede poco, sente male) e mio papà più stanco e principalmente occupato a fare il badante a tempo pieno, nessuno fa più da “collante ” per zii, cugini e amici di famiglia: mamma prima si ricordava di tutti i compleanni e anniversari (nascita, matrimonio, morte) e scriveva o telefonava regolarmente, papà ha sempre intrattenuto tutti con i suoi aneddoti di vita vissuta, i suoi libri di storia ma soprattutto con quel suo sguardo così particolare sul mondo, strambo a volte, ma mai banale.
Nei giorni dopo Natale ho avuto momenti un po’ malinconici. Con questo umore un po’ dimesso qualche giorno fa ho accompagnato mio marito Yagoub in un paesino del canavese per fare una visita “di dovere” a un suo connazionale sudanese, il cui primo figlio è stato appena circonciso, così come richiede la religione islamica.
In genere patisco un po’ queste visite; perchè nonostante la gentilezza estrema dei sudanesi, mi sento in colpa per non aver ancora imparato l’arabo; perchè sono diversissima dalle altre donne presenti (giovani, riservate, dedicate ai figli; ma soprattutto perchè spesso si avvertono storie di disperazione da cui mi sembra sia impossibile uscire …
Invece ieri è stato delizioso!
Ahmed (che viene dal Darfour, mi ha mostrato orgoglioso le sue foto davanti alla capanna dove è cresciuto, in un paesaggio di brulla savana da manuale missionario 🙂 è una persona energica e piena di vita, integrato alla grande; parla piemontese ed è sceso in cantina a prendermi una bottiglia di bonarda “quella buona che fa un mio collega”. In cinque anni ha ha imparato l’italiano, ha ottenuto la licenza media e un’attestato professionale, ha appreso un mestiere e ora lavora a tempo indeterminato in una fabbrica dell’indotto IVECO ; “faccio il turno di notte e due ore di straordinario al giorno, così guadagno di più” mi spiega fiero di sè mentre imbadisce la tavola con pollo fritto, pesce al forno e altre delicatezze (sono le quattro di pomeriggio, noi abbiamo ovviamente già pranzato, ma non sia mai detto che un sudanese non offra un pasto completo ai suoi ospiti:-)
Da un paio d’anni è sposato, è riuscito a far venire la moglie in Italia (la bellissima Marwa sottile come un giunco, sembra una modella) e ora ha un bimbo di 8 mesi, Aymen. Abitano in un bell’appartamento stile anni 70, abbonamento Skype per vedere il calcio (lui è tifosissimo dellaJjuve) invece della sola ennesima parabola per i canali in arabo … Ahmed è stato coraggioso, ha scelto di uscire da Torino, dalle case occupate, dalla compagnia dei soli “paesani” e di provare a farsi strada, solo, in mezzo a italiani della provincia profonda … che forse la parola “buonismo” non sanno neanche come si pronuncia, ma che hanno pian piano apprezzato la vitalità, il sorriso e la gran voglia di lavorare di questo ragazzone nero, sempre in movimento, chiacchierone e positivo.
Una storia di emigrazione dal sapore di anni 50, di quelle raccontate nei film neorealisti in bianco e nero: in tempi di crisi e depressione mette allegria incontrare una giovane coppia così ottimista, per cui l’Italia è stata ed è veramente occasione di riscatto!
Tornando a casa riflettevo su di loro: sono musulmani, sono africani ma sono una coppia di rifugiati con un bambino piccolo e circonciso … suona decisamente famigliare in questo periodo dell’anno … e la loro positività che altro è, se non una Buona Novella?
Sono grata a queste persone venute da così lontano per rinnovare in me, anche se inconsapevolmente, il sapore del Natale, quello della mia tradizione, delle mie radici.
Maria Lissoni
SMS Norberto Bobbio
Torino